
La Tanzania è il Paese perfetto per vivere l’esperienza di trekking, safari e mare. Al ritorno ci si porta dietro quella sensazione di Mal d’Africa decantata dagli esploratori del passato, avvolti dalla luce del ghiacciaio del Kilimangiaro, dalla vita che si consuma vicino alle pozze dell’acqua e dall’eco delle culture tribali.
In questo angolo di blog vi porto in uno dei luoghi più potenti di sempre: Mama Africa, ovvero… il Kilimangiaro.
Con l’organizzazione di una spedizione e molto allenamento pregresso, si raggiunge il Tetto dell’Africa a 5895 metri di altitudine. Ho percorso la Marangu Route, chiamata anche Coca-Cola Road per via del colore del terreno. Solo qui si può parlare con il sole, perdendo il contatto con il mondo, che resta ai propri piedi, avvolto dalle nuvole.
La montagna sacra è come il canto di una sirena, per tanto affascinante, ma anche infima. Da non sottovalutare è il mal di montagna (oltre a bere almeno 3 litri di acqua al giorno e fare quindi tantissima pipì è necessario utilizzare il Diamox, un diuretico, indispensabile per la salita) e il freddo (la sera la temperatura è bassa e il freddo rischia di limitare la forza nelle salite del mattino). In Vetta si oscilla fra i -15 e -20 gradi.
L’emozione della scalata è indescrivibile: si percorrono 4 ambienti, accompagnati dai portatori, che a passo lento “pole-pole”, marciano con grandi sacchi in testa. La foresta alla base, la savana a metà quota, il deserto in alta quota e infine il ghiacciaio on the top. Da lassù si riesce a percepire la rotondità della terra, una sensazione che si può provare in pochissimi luoghi al mondo.
La scalata finale si compie a mezzanotte, illuminati dalla luna piena o dalle stelle. Il Kilimangiaro compare e scompare alla vista, mentre terreno sabbioso e carenza di ossigeno, rendono il viaggio una sfida con sé stessi. All’arrivo alla vetta Uhuru Peck si osserva una nuova prospettiva, leggendo il cartello “Congratulations you are at 5895 M”.

Geografia
La Tanzania che conosciamo oggi, è nata nel 1964, ed è l’unione fra gli stati di Tanganyika e Zanzibar. È uno stato costellato da vulcani inattivi, fra questi il Kilimangiaro, flora e fauna differenziate in base ai punti cardinali e uno sbocco sull’Oceano Indiano. Ha avuto una dominazione araba e poi europea e il suo passato la rende una delle culle degli ominidi.
Fu colonizzata dai portoghesi, ma nel 1800 passò sotto il controllo tedesco, insieme a Zanzibar, Tanganyika, Rwanda e Burundi.
Con la sconfitta dei tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, passò sotto il mandato britannico; fu un periodo di caos amministrativo: il Tanganyika divenne indipendente dal Commonwealth e il leader Julius Nyerere divenne presidente dal 1961 al 1985.
Vi sarete domandati qual è la capitale della Tanzania. Ebbene l’ufficiale è Dodoma, ma sono ben 3 le capitali di questa Repubblica. Capitale amministrativa, Dodoma, commerciale Dar el Saalam e turistica Arusha. Si parlano inglese e swaili; la popolazione è per metà cristiana e per metà islamica.
L’unica pecca della Tanzania moderna è il grande affollamento di turisti e l’avvento, ormai radicato, della globalizzazione. I bambini ormai sono dei piccoli imprenditori, che preferiscono vendere perline invece di andare a scuola. Anche i Masaai sono diventati una pura attrazione. Sono però riuscita a trovare purezza nella caccia con gli Hadazabe, una popolazione che mantiene il suo distaccamento dalla realtà più moderna, potando avanti antiche tradizioni e rituali ormai scomparsi.

Attualità
Il presidente è una donna, Samia Suluhu Hassan, che è stata eletta il 19 marzo 2021, in seguito alla morte improvvisa del presidente Jhon Magufuli. Si è allontanata dal modello autocratico imposto dal governo precedente e il popolo la definisce “Colei che ha ridato il sorriso al popolo tanzaniano”.
Le nuove elezioni saranno nel 2025, ma il suo carisma mostrerà quanto in questi tre anni la Tanzania saprà riprendersi dal periodo post Covid e dalla imminente collaborazione cinese, che prevede la creazione di strade in tutta l’Africa. La Tanzania ha una serie di progetti legati all’estrazione di materie prime, sia da parte delle imprese cinesi, che indiane.
Storie

Leila è una giovane sarta. Ha diciassette anni e vive a Mto Wa Mbu, una piccola cittadina non lontana dal Lago Eyasi. L’intervista è stata fatta in un tiepido pomeriggio di agosto, mentre visitavo il mercato locale, fra i profumi dei frutti tanzaniani e i colori delle sue stoffe.
E- Dove e quando hai imparato questo lavoro?
L- Lo so fare da sempre. Mia mamma e mia nonna mi hanno insegnato da quando ero piccola. Per noi donne è un modo per lavorare per la famiglia e avere dei soldi anche per noi stesse. Mi piace accorciare, ricucire e creare abiti. Quello che amo davvero è riparare un vestito: è come se lo curassi, per rendere felice di nuovo chi lo indossa.
E- Quante ore lavori? Chi viene qui?
L- Inizio lavorare al mattino e poi rimango qui fino a che non diventa buio. La bottega è come una casa. La mie sorelle passano del tempo con me, anche le mie amiche vengono a trovarmi. Mangiamo qui, ci riposiamo. Ci sono giorni in cui vado a casa e mi sostituisce mia mamma. Gli uomini vengono poche volte, di solito sono le donne che portano i vestiti dei mariti a riparare. Cucire è una mansione che sanno fare quasi tutte le donne in Tanzania, ma Mto Wa Mbu è una cittadina moderna e spesso le donne sono impegnate e affidano questi lavori a me. Mi piacerebbe diventare una stilista, ma è impossibile, perché non sono precisa. In futuro vorrei studiare all’università e poi sposarmi.
E-Come funziona l’università?
L- In Tanzania tutti possono studiare, ma anche le università pubbliche sono costose. I genitori devono lavorare per i figli per dar loro un futuro migliore. In futuro i figli ripagheranno i genitori occupandosi della loro vecchiaia. Io cerco di dare una mano, per poi poter pagare una parte degli studi. Vorrei fare lingue, per poi avere un lavoro con il turismo, che mi faccia guadagnare di più. Qui in tanti studiano discipline turistiche o scienze politiche. E’ molto apprezzato lavorare in politica, perché chi ce la fa, guadagna bene. Studiare è un modo per vivere meglio.
E-Come si vive nei villaggi più piccoli?
L-Dipende in quale zona della Tanzania si abita: ci sono ancora molti villaggi in cui non c’è acqua corrente o luce. I Maasai si occupano di allevamento e sono molto ricchi, ma vivono in case semplici. Così come altre popolazioni, come i Trilu, che vivono fra i baobab e hanno ancora antichi rituali per propiziare il raccolto. Invece gli Hadazabe, con cui hai cacciato, sono davvero strani! Vivono lontani da tutto e si sentono come estranei.
E-Che rapporto c’è fra tutte queste tribù?
L-Noi non viaggiamo molto. Ognuno vive nel suo territorio. I Maasai sono più vicini ai parchi nazionali e hanno imparato a sfruttare il turismo. Nel sud della Tanzania, però ci sono Maasai che non hanno contatti con i turisti. Ogni popolazione ha la sua lingua, le sue tradizioni, ma tutti sono in pace: l’importante è che i terreni non vengano occupati, altrimenti ci sono rischi di litigi fra tribù.