Milano

Milano o Pechino? Andate in Via Paolo Sarpi e scoprirete il lato orientale della città più cool d’Italia

L’imponenza del Cimitero Monumentale, casa di poeti e artisti passati e contemporanei

Milano è una delle città più cool d’Italia: da musei incredibili, a piccole librerie indipendenti, la scoperta della città è adatta a tutti i gusti. Abbandonate i luoghi comuni legati al suo grigiore, o al fatto che “C’è solo il Duomo da visitare”. Milano è colorata, vivace e legata alla storia in maniera indissolubile. Scopriremo che è anche un po’ orinetale.

Fu conquistata e distrutta 7 volte: questo aspetto si legge nelle strade e nei cortocircuiti architettonici in cui vi imbatterete. Romana, Longobarda, Medievale, Rivoluzionaria e Positivista. È stata ed è città dove nascono idee sceibtifiche, baluardo di moti e signorilità; la città in cui è custodito il “Quarto Stato” di Volpedo e in cui si trova il murales più grande del mondo: sono ben 59 metri quadrati di colore, da ammirare sulle scale della Torre Allianz.

Storia

Passeggiando per Milano si possono scoprire luoghi inaspettati, come il quartiere cinese. Non immaginate un luogo senza anima, ma un brulicante centro di vita frequentato dai milanesi più esigenti, dove nel week end si possono scoprire taverne nascoste e supermercati da fare invidia a Pechino. 

Il quartiere cinese di Milano, si candida come l’unica China Town in Italia e la terza d’Europa. Nell’800, era l’area degli ortolani, con gradi spazi coltivati, che servivano alla sussistenza della città e delle aree limitrofe. Nonostante oggi sia in una zona centralissima, in passato ci si trovava distanti dall’area nobile della città. Negli anni Venti del Novecento, a causa delle grandi guerre che devastarono la Cina, ebbe inizio una vera e propria diaspora, che portò milioni di cinesi a migrare in tutto il mondo. Dirigetevi quindi in via Paolo Sarpi, poco lontano dal cimitero Monumentale (Metro lilla-fermata Monumentale).

China Town a Miano è stata abitata dai primi lavoratori del Sol levante, fra il 1920 e il 1930. Le guerre in Cina avevano richiamato molti cinesi nelle aree parigine. C’erano dei veri e propri reclutatori di manodopera, che organizzavano la rotta e dislocavano i lavoratori cinesi in varie città: da Hong Kong a Kuala Lampur, da New York a Parigi. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, alcuni cinesi-parigini, si spostarono alla ricerca di nuovi lavori proprio a Milano. La richiesta era semplice: manodopera per lavorare i terreni. Così la piccola comunità iniziò a crescere. Per molti lavoratori il progetto era di guadagnare abbastanza denaro per poter tornare in Cina in vecchiaia. Così fu per molti di loro, anche se una parte di quella comunità è rimasta. Ci fu una seconda migrazione dopo la seconda guerra mondiale e un a terza negli ani ottanta. Ad oggi gli abitanti del quartiere sono ragazzi e ragazze che derivano da quest’ultima ondata migratoria: parlano il dialetto milanese e sono pronti ad accogliervi in ogni angolo di China Town.

Un sorso di…

Il quartiere è vivo ogni giorno, ma nel mese di febbraio è davvero spettacolare: si festeggia il capodanno cinese e, fra parate e fuochi d’artificio, potrete davvero sentirvi a Pechino, a pochi passi dal centro di Milano.

Non perdetevi un aperitivo alla ricerca del raviolo perfetto. Vi consiglio la Ravioleria Sarpi takeaway (via Paolo Sarpi 27). Se la sete si fa sentire vi consiglio di placarla all’interno della birreria italo-cinese La Buttiga Beer Room (via Paolo Sarpi 64). Un luogo che soddisfa i palati più tradizionalisti e quelli più curiosi, per concedervi una piccola pausa.

I mille sapori dei prodotti del quartiere cinese di Milano

Consigli di lettura:

Lui Xi, Io e l’Italia, Associazione Culturale Il Foglio, 2022

Laura Noulian, Il gusto proibito dello zenzero, Garzanti, 2010

Tanzania

Dalla Vetta di “Mama Africa”, alla storia di Leila. Un viaggio oltre i limiti

Le rocce, le nuvole e le stelle della Coca-Cola Road

La Tanzania è il Paese perfetto per vivere l’esperienza di trekking, safari e mare. Al ritorno ci si porta dietro quella sensazione di Mal d’Africa decantata dagli esploratori del passato, avvolti dalla luce del ghiacciaio del Kilimangiaro, dalla vita che si consuma vicino alle pozze dell’acqua e dall’eco delle culture tribali.

In questo angolo di blog vi porto in uno dei luoghi più potenti di sempre: Mama Africa, ovvero… il Kilimangiaro.

Con l’organizzazione di una spedizione e molto allenamento pregresso, si raggiunge il Tetto dell’Africa a 5895 metri di altitudine. Ho percorso la Marangu Route, chiamata anche Coca-Cola Road per via del colore del terreno. Solo qui si può parlare con il sole, perdendo il contatto con il mondo, che resta ai propri piedi, avvolto dalle nuvole.

La montagna sacra è come il canto di una sirena, per tanto affascinante, ma anche infima. Da non sottovalutare è il mal di montagna (oltre a bere almeno 3 litri di acqua al giorno e fare quindi tantissima pipì è necessario utilizzare il Diamox, un diuretico, indispensabile per la salita) e il freddo (la sera la temperatura è bassa e il freddo rischia di limitare la forza nelle salite del mattino). In Vetta si oscilla fra i -15 e -20 gradi.

L’emozione della scalata è indescrivibile: si percorrono 4 ambienti, accompagnati dai portatori, che a passo lento “pole-pole”, marciano con grandi sacchi in testa. La foresta alla base, la savana a metà quota, il deserto in alta quota e infine il ghiacciaio on the top. Da lassù si riesce a percepire la rotondità della terra, una sensazione che si può provare in pochissimi luoghi al mondo.

La scalata finale si compie a mezzanotte, illuminati dalla luna piena o dalle stelle. Il Kilimangiaro compare e scompare alla vista, mentre terreno sabbioso e carenza di ossigeno, rendono il viaggio una sfida con sé stessi. All’arrivo alla vetta Uhuru Peck si osserva una nuova prospettiva, leggendo il cartello “Congratulations you are at 5895 M”.

Gioia e commozione alla prima alba, presso Stella Point 5765 m

Geografia

La Tanzania che conosciamo oggi, è nata nel 1964, ed è l’unione fra gli stati di Tanganyika e Zanzibar. È uno stato costellato da vulcani inattivi, fra questi il Kilimangiaro, flora e fauna differenziate in base ai punti cardinali e uno sbocco sull’Oceano Indiano. Ha avuto una dominazione araba e poi europea e il suo passato la rende una delle culle degli ominidi.

Fu colonizzata dai portoghesi, ma nel 1800 passò sotto il controllo tedesco, insieme a Zanzibar, Tanganyika, Rwanda e Burundi.

Con la sconfitta dei tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, passò sotto il mandato britannico; fu un periodo  di caos amministrativo: il Tanganyika divenne indipendente dal Commonwealth e il leader Julius Nyerere divenne presidente dal 1961 al 1985.

Vi sarete domandati qual è la capitale della Tanzania. Ebbene l’ufficiale è Dodoma, ma sono ben 3 le capitali di questa Repubblica. Capitale amministrativa, Dodoma, commerciale Dar el Saalam e turistica Arusha. Si parlano inglese e swaili; la popolazione è per metà cristiana e per metà islamica.

L’unica pecca della Tanzania moderna è il grande affollamento di turisti e l’avvento, ormai radicato, della globalizzazione. I bambini ormai sono dei piccoli imprenditori, che preferiscono vendere perline invece di andare a scuola. Anche i Masaai sono diventati una pura attrazione. Sono però riuscita a trovare purezza nella caccia con gli Hadazabe, una popolazione che mantiene il suo distaccamento dalla realtà più moderna, potando avanti antiche tradizioni e rituali ormai scomparsi.

I colori dell’alba, nel Serengeti

Attualità

Il presidente è una donna, Samia Suluhu Hassan, che è stata eletta il 19 marzo 2021, in seguito alla morte improvvisa del presidente Jhon Magufuli. Si è allontanata dal modello autocratico imposto dal governo precedente e il popolo la definisce “Colei che ha ridato il sorriso al popolo tanzaniano”.

Le nuove elezioni saranno nel 2025, ma il suo carisma mostrerà quanto in questi tre anni la Tanzania saprà riprendersi dal periodo post Covid e dalla imminente collaborazione cinese, che prevede la creazione di strade in tutta l’Africa. La Tanzania ha una serie di progetti legati all’estrazione di materie prime, sia da parte delle imprese cinesi, che indiane.

Storie

Leila al lavoro, nella sua piccola bottega

Leila è una giovane sarta. Ha diciassette anni e vive a Mto Wa Mbu, una piccola cittadina non lontana dal Lago Eyasi. L’intervista è stata fatta in un tiepido pomeriggio di agosto, mentre visitavo il mercato locale, fra i profumi dei frutti tanzaniani e i colori delle sue stoffe.

E- Dove e quando hai imparato questo lavoro?

L- Lo so fare da sempre. Mia mamma e mia nonna mi hanno insegnato da quando ero piccola. Per noi donne è un modo per lavorare per la famiglia e avere dei soldi anche per noi stesse. Mi piace accorciare, ricucire e creare abiti. Quello che amo davvero è riparare un vestito: è come se lo curassi, per rendere felice di nuovo chi lo indossa.

E- Quante ore lavori? Chi viene qui?

L- Inizio lavorare al mattino e poi rimango qui fino a che non diventa buio. La bottega è come una casa. La mie sorelle passano del tempo con me, anche le mie amiche vengono a trovarmi. Mangiamo qui, ci riposiamo. Ci sono giorni in cui vado a casa e mi sostituisce mia mamma. Gli uomini vengono poche volte, di solito sono le donne che portano i vestiti dei mariti a riparare. Cucire è una mansione che sanno fare quasi tutte le donne in Tanzania, ma Mto Wa Mbu è una cittadina moderna e spesso le donne sono impegnate e affidano questi lavori a me. Mi piacerebbe diventare una stilista, ma è impossibile, perché non sono precisa. In futuro vorrei studiare all’università e poi sposarmi.

E-Come funziona l’università?

L- In Tanzania tutti possono studiare, ma anche le università pubbliche sono costose. I genitori devono lavorare per i figli per dar loro un futuro migliore. In futuro i figli ripagheranno i genitori occupandosi della loro vecchiaia. Io cerco di dare una mano, per poi poter pagare una parte degli studi. Vorrei fare lingue, per poi avere un lavoro con il turismo, che mi faccia guadagnare di più. Qui in tanti studiano discipline turistiche o scienze politiche. E’ molto apprezzato lavorare in politica, perché chi ce la fa, guadagna bene. Studiare è un modo per vivere meglio.

E-Come si vive nei villaggi più piccoli?

L-Dipende in quale zona della Tanzania si abita: ci sono ancora molti villaggi in cui non c’è acqua corrente o luce. I Maasai si occupano di allevamento e sono molto ricchi, ma vivono in case semplici. Così come altre popolazioni, come i Trilu, che vivono fra i baobab e hanno ancora antichi rituali per propiziare il raccolto. Invece gli Hadazabe, con cui hai cacciato, sono davvero strani! Vivono lontani da tutto e si sentono come estranei.

E-Che rapporto c’è fra tutte queste tribù?

L-Noi non viaggiamo molto. Ognuno vive nel suo territorio. I Maasai sono più vicini ai parchi nazionali e hanno imparato a sfruttare il turismo. Nel sud della Tanzania, però ci sono Maasai che non hanno contatti con i turisti. Ogni popolazione ha la sua lingua, le sue tradizioni, ma tutti sono in pace: l’importante è che i terreni non vengano occupati, altrimenti ci sono rischi di litigi fra tribù.

Fugu Bag

Geremia Siboni, artigiano e velista. Plasma tessuti in accessori unici.

Ravenna, città di Ostrogoti e Mosaici; ma è anche la città in cui la fantasia creativa di Geremia Siboni ha trovato ispirazione .

Appassionato di mare, vele e innovazione, Geremia ha dato vita a Fugu Bag, utilizzando materiali di recupero, che si plasmano in borse e creazioni uniche.

Geremia

L’ormai irrinunciabile Fugu Bag

Iran

L’Iran: un Paese incantevole in cui, oggi, il canto dei muazzin è sostituito dal grido “donne, vita, libertà”. Partiamo per conoscere di più. senza esserne intimiditi.

Le colonne di Shiraz, simbolo del passato maestoso dell’Impero Persiano

L’Iran è un Paese dai mille volti. In questi giorni il canto dei muazzin è stato soffocato dalle grida di protesta di donne e uomini allo stremo. Oltre la politica e il dolore, l’Iran è un luogo meraviglioso, in cui viaggiare fra moschee blu, deserti di roccia e laghi rosa. Uno stato sciita, dove le feste religiose si manifestano con un’intensità quasi sconcertante; dove le città di Qom e Mashhad fagocitano nella loro santità pellegrini e viandanti, traslandoli in un mondo parallelo; dove le metropolitane sono un bazar in movimento;  dove anche le figure delle toilette femminili sono rappresentate con l’Hijab sulla testa.

Ho trascorso molto tempo in questa terra assaporando ogni suo contrasto, sentendomi a volte persiana, a volte turista, ma venendo sempre accolta dal calore dei suoi abitanti.

Geografia


L’Iran è una Teocrazia islamica sciita, le cui strutture sono piuttosto complesse, la definirei un teocrazia ibrida. Il progetto politico dell’Ayatollah Khomeini era la creazione di uno stato coerente con i precetti del Corano. Per questo motivo, qualsiasi decisione politica deve essere rigorosamente vagliata dalla comunità religiosa e dagli esperti della dottrina islamica. Il capo dello stato è il presidente, eletto a maggioranza assoluta a suffragio universale. Il suo mandato dura quattro anni e si occupa della buona prestazione del potere esecutivo. Attualmente il presidente è l’ultraconservatore Ebrahim Raisi.

Il Paese è davvero molto grande, con itinerari diversissimi fra di loro: è possibile fare splendidi trekking, andare alla ricerca delle antiche rovine sasanidi, perdersi fra i bazar della capitale, Teheran, e tuffarsi nel Mar Caspio: in una volta sola è impossibile riuscire ad assaporare tutto l’Iran.

La moneta iraniana prende due nomi: Rihal, il nome ufficiale che è stato assunto con l’avvento della Repubblica, e Toman, nome della moneta dello Scià. I più nostalgici preferiscono parlare di Tomans, che hanno un valore più semplice da calcolare, in quanto si indicano solo tre cifre, rispetto al valore del Rihal.

La lingua è il farsi e vi sono numerosi dialetti. Una delle peculiarità è che, oltre alla religione sciita, la seconda religione per numero è quella armena (gli armeni furono accolti in seguito al genocidio del 1918) e segue una parte di Zoroastrismo.

Uno sguardo al ponte dei 33 archi di Isfahan

Attualità

La democrazia, in Iran, passa dalle donne. In questi ultimi mesi, in seguito alla morte di Masha Amini, uccisa per aver indossato in maniera non consona il velo e Hadith Najafi, attivista colpita durante le proteste, l’Iran si scaglia contro il regime. Questa è, a mio avviso, una proto-rivoluzione. Non potrà crollare così facilmente la Teocrazia, ma il popolo ha dato prova di resilienza e di malessere. Questo risveglierà il Governo, che si muoverà in maniera meno conservatrice in futuro, per non dover arrivare a compromessi maggiori.

Nel giugno 2021 è stato eletto come presidente dell’Iran, l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, dopo il moderato Hassan Rouhani. La sua presenza, in quest’ultimo anno, è stata eccessivamente repressiva nei confronti degli iraniani. Le donne sono state costrette ad entrare in un clima di tensioni, a causa del ripristino della polizia morale; una nuova crisi, determinata dalla Pandemia e, ora, dalla guerra fra Russia e Ucraina, ha alzato l’inflazione in maniera incontrollata. Malcontento, aumento dei prezzi dei beni di prima necessità e povertà, hanno colpito un Iran sempre meno tollerante nei confronti del governo.

Sono quindi le donne ad aver iniziato questa guerra con un coraggio inaudito. Dal taglio dei capelli pubblicato sui social in segno di protesta, per arrivare a manifestare senza veli in gare sportive sotto gli occhi del mondo intero. Le proteste si sono espanse in tutte le grandi città dell’Iran, e la risonanza degli inni alla libertà, ha raggiunto anche l’Occidente. Grazie ai Mondiali in Qatar l’attenzione si è concentrata sulla nazionale dell’Iran e sulla scelta di non cantare l’Inno. Il motto “donna, vita, libertà” deve perdurare per non lasciare soli gli iraniani.

Storie

L’Imam Ebi presso la moschea di Naseriyeh, durante l’intervista

Intervista Imam Ebi, moschea di Naseriyeh. Un dialogo interessante, legato alla religione e al conservatorismo dell’Iran, per comprendere cosa davvero sappiamo su questo Paese. Negli ultimi mesi sono riuscita a contattarlo online, per farmi dare alcune informazioni sulla situazione politica attuale. Non perdetevi questa intervista.

E-Perché ha scelto di diventare un Imam?

I.E-Imam è un termine che indica studioso, io sono sempre stato attratto dalla filosofia, dalla religione e ho studiato fin da giovane nelle scuole coraniche. A quattordici anni ho capito che volevo approfondire sempre di più e dedicare a questo la mia vita.

E-Com’è stata la sua formazione?

I.E-Ho studiato a Qom negli anni ’90; questa è la città i cui devono trascorrere un periodo tutti i futuri Imam, ed è qui dove l’Ayatollah Khomeni aveva iniziato i suoi studi. Ho scelto di rimanere a Qom per parecchi anni, perché la mia famiglia non è lontana, e spesso potevo andare a trovarla. La vita di un Imam è molto simile a quella che si può fare in università.

E-Gli Imam si possono sposare. Come ha conosciuto sua moglie?

I.E-Era una mia amica di infanzia; io studiavo tanto e uscivo poco, ma ricordo che una giorno in cui sono andato a trovare i miei genitori l’ho rivista, e mi sono distratto un po’ di più dallo studio.

E-Muhallà, Muazzin, Imam, Ayatollah che differenza c’è?

I.E- Fra Imam e Muhallà nessuna, è solo un modo diverso per indicare un uomo religioso, però il termine Imam noi lo diamo a persone di grande spicco per la nostra cultura, come i 12 Immam, ma siamo tutti Muhallà. L’Ayatollà è un grande capo, si rifà all’antica tradizione sciita, ed è per noi il leader de Paese; mentre i Muazzin sono i laici che effettuano il richiamo alla preghiera.

E-Come vedete le altre religioni?

I.E-Accogliamo tutte le religioni. Tutti sono protetti da Dio. Bisogna comportarsi rettamente, nessuno sbaglia, bisogna però essere guidati.

E-L’Islam ha mille sfaccettature e al suo interno vi sono differenti gruppi religiosi, come i Sufi, i Baha’ì, i Sunniti; come vi interfacciate con loro?

I.E.-Siamo aperti a tutte le religioni, purché non siano contro la morale e superficiali. Per noi l’importante è il fine, l’avvento in Paradiso, il comportarsi in maniera corretta, il donare e il donarsi: molte religioni hanno un mezzo differente per raggiungerlo, ma non c’è nulla di sbagliato. I Sufi sono musulmani, ma alcune di queste forme religiose, nei secoli, hanno perso la loro purezza e questo non viene accettato, perché è contro i principi del Corano. I Sunniti hanno una via di trasmissione differente, loro non aspettano l’ultimo Imam, ma accettiamo la loro presenza nel paese, commerciamo e cerchiamo di dialogare con loro. Molte volte, questo è avvenuto anche per la religione cristiana, la storia, l’economia e le conquiste hanno cambiato l’evolversi del pensiero e snaturato la dottrina originale.

E-Cosa pensa dell’Iran di oggi?

I.E-È un paese migliore, lontano dalla corruzione e dalla perdizione. Anche se spesso vi sono delle proteste, perché la gente vuole sempre di più e non riesce a capire che alcune azioni vengono effettuate per migliorare la vita delle persone. In questi giorni di grande dolore per il Paese io sto dalla parte della vita. Capisco che alcune misure prese nei confronti della popolazione sono rigide, ma solo con il dialogo si può andare avanti e non con la rivolta.

E-Cosa pensa di Facebook e Internet? Ho visto spesso cartelloni che li condannano.

I.E-Io uso internet per comunicare ed è un mezzo davvero incredibile, ma sono contro tutto quello che non nasce con questo scopo. Facebook viene usato in maniera sbagliata, spesso si danno informazioni errate sulle persone e può davvero rovinare le persone. I giovani sono schiavi, spesso non ci si rende conto che i telefonini sono degli oggetti, ma si usano e trattano come se fossero persone. Sono contro quello che snatura l’uomo e non c’è molta differenza fra un telefonino e l’alcol o le droghe: cambiano l’essenza di una persona.

E-Come vivono le donne in Iran?

I.E-Sono libere, studiano, viaggiano, lavorano, come lo è sempre stato. Non c’è distinzione di genere nei lavori. Bisogna insegnare ai non musulmani a non pensare all’Iran come ad un Paese dittatoriale. Mi rendo conto che quello che sta accadendo oggi è terribile, ma l’esasperazione che ha portato alle manifestazioni è per motivi che riguardano l’economia del Paese e l’impossibilità di inserirci nel mercato mondiale.

E-Perché le donne indossano il velo?

I.E-È una scelta, noi indossiamo il velo per rispetto a Dio, per noi è importante che le donne siano protette da sguardi indiscreti e dai pericoli. Solo chi vuole indossa il Chador.

E-Come mai durante i giochi olimpici, durante le gare di atletica, le donne parti nude vengono censurate?

I.E-Per noi il corpo è estremamente personale, mostralo così liberamente è proibito e le atlete spesso corrono con degli abiti troppo poco coprenti; non vogliamo che le persone si dimentichino che è sport quello che stanno osservando e che la fatica degli atleti venga sminuita, perdendosi nell’osservare i corpi nudi.

E-Come si relazionano gli altri Paesi?

I.E- Siamo uno Stato aperto, ma autonomo; importiamo poco e riusciamo a vivere di quello che abbiamo. Siamo spesso minacciati, ma questi sono giochi di potere, la religione non è parte di questo sistema. Oggi la situazione è molto complessa a causa della guerra in Ucraina, dell’uscita dalla NATO e dalla crisi causata dal COVID. Sono convinto che dialogare anche con le super potenze potrebbe portare alla pace.

Catania

Andiamo a Catania per conoscere Associazioni incredibili e visitare una quartiere poco conosciuto: Librino.

Il mercato di Catania, fra scatoloni, pesce fresco e piccioni

Abbracciata dal Mar Ionio e protetta dalla vetta dell’Etna, Catania è la culla degli elementi, che qui si toccano e si sfiorano: cielo, fuoco, terra e mare dialogano con il passato greco, arabo, spagnolo e normanno. Instancabilmente la città coinvolge il viaggiatore, in una scoperta unica: dall’ordinato quartiere Librino, realizzato dal giapponese Kenzò Tange, al caotico e odoroso mercato ittico; Catania è così quotidianità, storia e modernità.

Storia

Dalle origine preistoriche fu casa per greci, romani, ostrogoti e ciclopi. In seguito, i canti dei muazzin arabi invasero le strette vie della città, per poi essere zittiti dai vespri siciliani dell’occupazione angioina. La dominazione spagnola modificò ancora una volta la sua struttura, imponendosi anche nella lingua. Per i catanesi, infatti, andare “alla Playa”, non è solo un retaggio degno di una canzone dei Rigueira, ma un modo per indicare il litorale, che si estende per 18 chilometri. Con queste sfaccettature la città palleggiò fra il controllo dei Savoia e quello borbonico, per diventare parte del Regno d’Italia nel 1860. Nonostante la furia dell’Etna e di terremoti, che la distrussero più volte, la città fu ricostruita, con un progetto urbanistico Giovanni Battista Vaccarini, di cui si riflettono gli influssi di Juvarra, Bernini e Raguzzini. Grandi viali e nuove fabbriche, la trasformarono in una Coketown, degna di un romanzo di Dickens, ma con l’energia del Mediterraneo.

Nell’Aprile 1907, piazza Giovanni Verga, divenne sede della seconda esposizione agricola siciliana. Lo stile Liberty face da padrone, con linee morbide che competevano con la virtuosità barocca onnipresente in città: chioschi, giochi d’acqua e il tram elettrico resero Catania un baluardo di modernità e sfide ingegneristiche. Nel 1905, in via del Gazometro, alcune fabbriche dismesse divennero il deposito dei materiali elettrici dei tram, che sostituirono i malinconici omnibus usati dalla nobiltà: conducendo i passeggeri lungo i binari disposti fra le vie del centro e la spiaggia si apriva una nuova era.

Nel 1943 la città fu mutilata dalla devastazione della guerra, che si abbatté sui suoi lavatoi, sulle case barocche e sulle botteghe cittadine, come la storica oreficeria dei fratelli Russo. Dalle ceneri rinacque l’ultima Catania: divenne la seconda città più grande della Sicilia, oggi terzo scalo aeroportuale d’Italia e prestigiosa sede universitaria. Una città frizzante ed energica.

Dritti a Librino

Vi consiglio di dirigevi al quartiere Librino per conoscere i Briganti. Non fatevi spaventare dal nome! Librino sta fiorendo grazie a delle Associazioni culturali che credono davvero nella città e proprio noi possiamo aiutarlo ad abbattere la sua fama.

Entriamo attraverso la Porta della Bellezza, il più grande basso rilievo in terracotta al mondo e dal murales il Cantico di Librino, realizzati da Antonio Presti. Due opere che danno voce e forma agli abitanti di quest’area della città.

Il quartiere nacque nel 1976 con la promessa di essere la nuova zona multifunzionale della città. La struttura urbana fu commissionata all’architetto giapponese Kenzò Tange, che realizzò un centro ordinato e funzionale. Purtroppo la mal gestione delle risorse e la subitanea perdita di fiducia dei catanesi lo impoverirono, sino a degradarlo: ma in questi ultimi anni, Librino sta rinascendo.

Il quartiere è conosciuto in Italia per un grande merito sportivo: la squadra di Rugby. Lo sport è quindi diventato un mezzo per la rinascita di Librino e per il futuro di ragazzi e ragazze che lo abitano, grazie all’Associazione sportiva i Briganti. La passione e il sacrifico di tutti i briganti e le brigantesse ha permesso di ripristinare lo stadio: dalla partita al terzo tempo, le famiglie sono unite in progetti di associazionismo con altre realtà di Catania, come il bar libreria GammaZita. Ogni giorno si battono contro l’abbandono scolastico e l’impoverimento del quartiere.

Un sorso di…

Durante le vostre passeggiate vi imbatterete nei tanti chioschi che vendono limonata fresca. Lasciatevi tentare e non ve ne pentirete! Continuate verso il castello Ursino e dirigetevi da GammaZita. Qui Veronica, Daniele e i ragazzi dell’associazione vi conquisteranno con cocktail deliziosi e prodotti a chilometro zero.

GammaZita: un luogo imperdibile

Consigli di lettura:

Visitate la libreria di GammaZita, vicino al bar. Troverete delle piccole perle, selezionate da Veronica.

Venezia

Alla scoperta di una delle isole più suggestive di Venezia: San Lazzaro degli Armeni, fra leggenda e realtà.

Vista di Venezia dal Campanile di San Marco

Venezia è la città d’acqua per eccellenza, amata in tutto il mondo per il suo aspetto romantico e merlettato, per le vicissitudini di Casanova e delle cortigiane, ma è anche una città bohemian, contemporanea, misteriosa, buia, rude, prepotente e nobile al tempo stesso.

È l’ambientazione amata da Corto Maltese per compiere i suoi loschi affari, il lido in cui Thomas Mann incontrò la personificazione della sua fine, la sala di registrazione di Paolo Sorrentino e del suo Young Pope, il palcoscenico in cui Maria Callas fece vibrare la sua potente voce.

Storia

Venezia non è solo Rialto e San Marco: è un comprensorio di piccole e grandi isole sconosciute, di realtà culturali nascoste, che vi condurranno in un viaggio fra le corti sconte (nascoste) di questa isola a forma di pesce.

Vi conduco in un’isola poco conosciuta, dalla dimensione religiosa e culturale: l’isola di San Lazzaro degli Armeni. Da riva degli Schiavoni raggiungete l’imbarcadero D, con una corsa (7,50euro) potete andare e tornare dall’isola. Salite sul battello numero 20. La prima fermata è San Servolo, un antico Manicomio, ora Museo di anatomia, hotel e sede universitaria; successivamente raggiungerete San Lazzaro.

La storia di quest’isola è singolare. Agli inizi del 1100 fu sede benedettina, in seguito divenne parte del sistema sanitario della Serenissima: il nome non è casuale, San Lazzaro, poiché, come la dirimpettaia isola del Lazzaretto Vecchio, fu padrona delle sorti di molti malati che qui, morirono. Terminato il suo ruolo di lebbrosario, che fu conferito all’isola del Lazzaretto Nuovo, nell’area nord della Laguna, fu abbandonata. Solo nel 1700 il filosofo ed erudito Mechitar, scappato dalle persecuzioni ottomane vi si stabilì, ricevendo dal Consilio dei Dieci, l’ordine senatorio della città, la possibilità di fondare la propria comunità e di ridare vita all’isola, che ancora oggi splende ed è famosa per il roseto e la marmellata di rose che gli undici monaci confezionano in primavera.

Un’altra storia incredibile prende voce su quest’isola: nel 1907 un giovane campanaro georgiano, Bepi del Giasso (Beppe del Ghiaccio), trascorse mesi come seminarista. Di chi si trattava? Del giovane Stalin, che trascorse un periodo in Laguna prima di scappare a Berlino. La sua fama di campanaro era nota in città, in quanto si divertiva a suonare le campane con ritmo insolito e lasciava spesso il monastero per girovagare in piena notte a Venezia. 

Appena arriverete sull’isola apprezzerete il catamarano Armenia, purtroppo ferito dall’acqua alta di Novembre 2019, la torretta di avvistamento, dalla quale potrete ammirare un tramonto incredibile proiettati sulla Laguna sud e gli alberi da frutto. Dirigendovi verso l’ingresso vi accoglierà la statua di Mechitar e un’iscrizione marmorea di Lord Bayron, in cui viene indicato il suo affetto per quest’isola e per il popolo armeno.

La visita del monastero è sorprendente: con un a guida armena, al costo di 6 euro, verrete condotti nel chiostro, nelle splendida chiesa affrescata e all’interno delle stanze dei monaci. Incontrerete le macchine tipografiche utilizzate sino al 1900, i preziosissimi doni che venivano scambiati con la comunità armena, fra cui un sarcofago con mummia egizia e l’incredibile biblioteca, la più antica e ricca della Laguna, con circa 170 mila volumi provenienti da Europa, Africa e Oriente.

Terminata la visita assaggiate la marmellata alle rose, preparata con un’antica ricetta caucasica e, con l’animo e gli occhi gremiti di storie da raccontare,  ritornerete a Venezia.

Un sorso di..

Di ritorno dal vostro viaggio nella Laguna Sud, vi consiglio di sostare presso la Vineria all’Amarone. Il locale è un osteria veneziana autentica, i cui assaggiare i tipici cicchetti, preparati da Nicole e Antonella e accompagnarli con gli oltre 50 tipi di vino da abbinare, consigliati dai sommelier. Il costo medio si aggira sui 20 euro a persona. La qualità e la varietà dei piatti valgono davvero l’assaggio, accompagnati da un sorso, o anche due, dei vini selezionati.  

Vineria all’Amarone,  calle dei Sbianchesini 1131, Sestiere di San Polo.

Alla scoperta di una delle isole più suggestive di Venezia: San Lazzaro degli Armeni, fra leggenda e realtà.
In battello verso San Lazzaro degli Armeni

Consigli di lettura:

Ugo Pratt, Corto Maltese: corte sconta detta arcana, Einaudi, 1996

Tiziano Scarpe, Venezia è un pesce, Feltrinelli, 2000

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